Tra le pietre di sempre

© Maria Allo 

La mia terra è una specie di mistero. In primavera, la nebbia fitta cala giù dall’Etna con un boato e avvolge ogni cosa. Sono le prime ore del mattino, la terra molle e umida, come cenere vulcanica, la vegetazione assordante con il concerto di tanti uccelli diversi suscitano una comunione nuova con la terra e il cielo in cui confluiscono il bisogno di libertà, la pienezza delle forze e il modo di affrontare la vita, con selvaggia tenacia. Sono a casa da quasi tre mesi e mi manca l’allegria dei ragazzi. Il senso di esilio opprime e soffoca come aspettarsi di morire in primavera. Oggi godiamo di infiniti mezzi per comunicare, eppure quando si rimane soli con se stessi, percepire l’universo con tanti piccoli dettagli richiama profondità sconcertanti. La malattia ha schiarito, come la luce di un’alba improvvisa, la mia esistenza proprio nel punto in cui stavo per essere ingoiata dalle caligini della notte. Da tempo per non soffrire avevo neutralizzato la discesa agli inferi, le torsioni e le contratture incandescenti come le mie vertebre. Esisteva solo il presente, un presente inalterato, scandito solo dalla scuola, le classi, il lavoro preparatorio delle verifiche, le riunioni spesso inutili, il nuovo esame di stato, l’epicentro di tutti i guai, tanta fatica e passione, certamente si spera nei risultati che arriveranno… Forse, ma spesso noi e i giovani siamo soli davanti alla vita. Sulla cima del vulcano tutto è nitido adesso, la luce è magica e la giornata infonde anche a me un po’ di allegria con il suo splendore e la sua aria balsamica. Sento rinascere in me sensazioni che credevo sopite e mi lascio trascinare dalla corrente dei ricordi, non so perché, dimenticando la corazza che inchioda la mia colonna.

© Maria Allo 

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