Scrivo del nuovo libro di Silvano Trevisani, “Il poeta scomparso e altre storie”,(Puntoacapo Editrice, 2023) con la postfazione di Mauro Ferrari.
un inedito del 2013
cade la luce del giorno in pozzanghere
capovolte lungo viali di oblio
ma la terra sa di vigore e crepitio
in fondo alle cose
di lama splendente nel mattino
dentro una scia di rigagnoli in volo
Tra i palmi delle mani
nelle radici la terra vive
screziata di intemperie
oltre le foschie
oggi schiodata da un cielo in frantumi
a riversarsi è l’acqua su confini slabbrati
di malessere a folate ma più acuti gli odori
segnano la pelle
Ecco le gocce rimbalzano con forza
su tetti e soglie che mi porto dietro
fino a bruciare nel ventre
il mio inferno
©Allo Maria
la vita è qui
Scopro dalla finestra una nidiata di merli
tra le siepi e il muretto
– fiutando le cose e la terra-
tra una folata e l’altra di richiami brevi
non parole ma gesti mi dico gesti semplici
e respiro in modo inatteso il cielo sbiadito
Vivi presto la vita mi dici
sul ritmo del vento e di maggio autunnale
per non cedere alla nostalgia di domani
La vita è qui e i merli curiosamente
ne sono testimoni silenziosi
©Allo Maria
si traduca in pace
Senza memoria l’affondo di ginestre
al delirio del vento si rapprende
come l’amore si fonde alla rinuncia
e ne porta intimamente il suo dolore
Si traduca in pace la scia di sangue
la parola persa il cielo in agonia
la sofferenza umana inascoltata
Nella vita ordinaria continuamente
rinascono per morire morte e salvezza
in te come in ognuno di noi
©Allo Maria
Giornata Mondiale della Terra 2024
” È, dunque, la fede nella poesia, con la quale l’autrice intreccia nel corso della silloge un colloquio costante e sensibile, il senso ultimo della silloge La terra che rimane. E come bisogna leggere questo titolo, se non tornando all’ossimoro a cui si faceva cenno prima? Se il tempo dell’individuo è breve, quello della terra che risorge e rimane per le generazioni future, è senza fine; oppure l’unica terra che ci rimane, quella in cui rifugiarsi, prendere respiro, è quell’altra (la sognata, la spodestata, la promessa) che solo la poesia sa esplorare”.
Si smorzano le onde in riva al mare.
Non c’è vento e ognuno parla a suo modo
con tono diverso ai lati della strada.
In questi tempi è una caduta d’Icaro la vita
nuvola alla deriva . Eppure – chissà –
là dove il coraggio si consuma lento
l’alto mare sfiora l’orizzonte
come inafferrabile il profumo
di mandorle sale dalla terra.
Non c’è vento ma con volti mutati
le voci dei dimenticati
dei muti, degli assenti,
di chi non c’è più e torna a noi
nell’eco nell’altrui respiro
come un lento processo evolutivo
la memoria fluttua brizzolata di luce
cresce in questa generazione in viaggio,
trova rifugio nel labirinto
come traccia trasparente o alluvione di suono
sempre più profondo.
Ai margini un bisbiglio luminoso in lontananza
e il sole sulle mani.
*
Senza più contorni invisibile
l’ombra di profilo si fonde col fuoco
plasma la distanza dei millenni
ma non c’è abbastanza luce
se cade fra gli alberi l’attesa
come gramigna nei bagliori
del crepuscolo morente.
Non c’è abbastanza luce ai lati della strada
e sempre tanta pioggia o gelo
in certi pomeriggi quando il cielo basso
strazia il peso delle nubi
mentre improvvisa la metafora cresce
nel fragore verticale in volo.
Scoppia e disarma a luce spenta
i dimenticati e i disperati
l’isola disabitata della memoria
così resta sotto le dita la pazienza di chi
non cerca e non aspetta niente
oltre la luce radente dell’esistere.
© Maria Allo
Da “La terra che rimane”, Controluna Edizioni, 2018
non lascerò
manca una parola mentre il silenzio
romba e non ha voce
Dal silenzio alla voce un esilio muto
attraversa solitudini abissali
e apnee nel sangue della resa
ma ciò che muta ha contemplato
giorni luminosi nella carne
dietro il moto circolare che disegna
a tratti le movenze
intorno al suo abbandono
Non lascerò disperdere
tra l’abisso e il nulla
il fiorire dei mandorli
che ci appartiene
su corpi inceneriti
@Maria Allo
mutazioni
Saremo attraversati dal Lete
Non avremo più i nostri nomi ma forse
avremo memoria della sacralità dei corpi
di ciò che abbiamo tanto amato
di voci sguardi odori di boschi e suoni
che non potremo più pronunciare
Avremo memoria del fiato delle stagioni
che si dispiegano come fiori
dell’angelo terrestre alla tua porta
del seme che sopravvive
alla gravità della terra
al dolore vivo alla ferita aperta
al sangue dell’ultima primavera
@Maria Allo
dissonanze
Dissonanze di colpo si levano come suoni su pagine indifferenti. Ora prendono forma da una fessura come nelle traiettorie del tempo una voce alienata precipita dal labbro, in vortice cadendo fino alla prima voce del mattino fino alla voce universale. Poi il silenzio si addensa su di noi, ma appeso agli alberi si scioglie in una forma musicale senza fine. Mi accompagna per sempre nel profondo come la nostalgia del mare nei suoni di un temporale fra le cime alte dei pini e si traduce in un abbraccio che dà fiato. Ci vuole la corteccia viola della notte per liberare fioriture di risvegli. Come onde balzano ai raggi del mattino, mentre glicini sfatti inondano auto in sosta ai bordi del viale. Sai? Nelle notti di aprile fioriscono i nemici delle foglie e gli acini violetti spandono profumi in un amplesso tenero e spietato purché tu viva senza morire.
@Maria Allo