Anna Achmàtova, l’anima del popolo russo

Anna Achmatova nasce nel 1889 nella casa di campagna che la sua famiglia ha vicino ad Odessa; le misero nome Anna in onore di sua nonna e lei prese quello di Achmatova in onore della sua bisnonna, principessa tartara discendente di Gengis Kan. Achmatova è considerata la migliore poetessa di lingua russa. Durante i molti anni che i suoi libri -e perfino pronunciare il suo nome- furono proibiti nel suo paese, le sue poesie erano imparate a memoria e trasmesse in segreto con venerazione.
I suoi versi seppero esprimere il sentimento e l’anima del popolo russo, così come seppero riflettere gli aspetti quotidiani dell’amore e della politica.
“Affinché il terrore della malattia duri per sempre in cosa della memoria ti ho mutato”

Durante la seconda Guerra mondiale, prende parte alla difesa di Leningrado:Diviene “la bocca straziata con cui un popolo di cento milioni grida”: la nostalgia del passato lascia posto alla descrizione degli orrori, vissuti da un popolo, e da lei condivisi:
«No, non sotto un cielo straniero,
non al riparo di ali straniere,
io ero allora col mio popolo
là dove, per sventura, il mio popolo era.»
(Epigrafe per Requiem, 1961)

Artista europea nello stile eppure profondamente legata alla sua patria nei contenuti. Non aveva legami o debiti con la tradizione russa né con il decadentismo che allora dominava la scena letteraria: era libera nella sua gioventù luminosa che presto gli avvenimenti avrebbero amaramente colpito con la persecuzione staliniana, l’uccisione del primo marito, la traumatica esperienza dell’unico figlio incarcerato dal regime sovietico, gli ostacoli posti alla sua opera, bollata come “pessimismo nevrotico” e “erotismo malato” dalla nomenklatura ligia al partito.
Lo scoppio della prima Guerra mondiale segnò l’inizio di un periodo travagliato: nel 1918, fallito il primo matrimonio, sposò l’assiriologo e poeta V. Šiléiko, ma anche questa unione finì; nel 1921, Gumilëv venne accusato di aver partecipato a una cospirazione monarchica e fucilato senza processo; nel 1922, sulla Pravda, Trockij definì “irrilevante per l’Ottobre” la poesia della Achmatova, non pubblicata fino al 1940; nel 1925, si unì al critico d’arte N. Púnin, colpito, nel 1935, dalle repressioni staliniane, assieme al suo unico figlio, Lev Gumilëv. Tra il 1936 e il 1942, l’attività poetica riprese: oltre alle liriche, i poemetti Requiem, Lungo tutta la terra, parte delle Elegie del Nord e Poema senza eroe, a lungo inediti per motivi censori. Nel 1941, Achmatova ed altri intellettuali vennero evacuati da Leningrado, assediata dai tedeschi, e trasferiti in Uzbekistan. Tornata nel 1944, nel 1946 il Partito comunista la mise al bando dall’Unione degli scrittori; esclusa da ogni collaborazione letteraria; il figlio nuovamente arrestato.
Da Requiem
[…] ho passato diciassette mesi in fila davanti alle carceri di Leningrado. Una volta qualcuno “mi riconobbe”. Allora una donna dalle labbra livide che stava dietro di me e che, sicuramente, non aveva mai sentito il mio nome, si riscosse dal torpore che era caratteristico di noi tutti e mi domandò in un orecchio (lì tutti parlavano sussurrando):
– Ma questo lei può descriverlo?
E io dissi: – Posso.
Allora una sorta di sorriso scivolò lungo quello che un tempo era stato il suo volto.»
(Prefazione a Requiem, 1957)
Nell’epilogo leggiamo: “Per loro ho intessuto un’ampia coltre / di povere parole, che ho inteso da loro. / Di loro mi rammento sempre e in ogni dove, / di loro neppure una nuova disgrazia mi scorderò, / e se mi chiuderanno la bocca tormentata / con cui grida un popolo di cento milioni, / che esse mi commemorino allo stesso modo / alla vigilia del mio giorno di suffragio”.
1935. Mosca (Kutaf’ja)Diciassette mesi a gridare,
A chiamarti a casa,
Ai piedi del carnefice gettata,
Figlio mio e mio terrore.
Tutto si e’ sovvertito per sempre
E non capisco ora
Chi sia la belva, chi l’umana creatura
E se lunga per l’esecuzione sara’ l’attesa.
E solo rigogliosi fiori
E del turibolo il tinnire, e in qualche dove
Orme verso nessun dove.
E dritto negli occhi mi guarda
E di morte imminente minaccia
Enorme una stella.
VII.
La sentenza
E sul mio petto ancora vivo
piombò la parola di pietra.
Non fa nulla, vi ero pronta,
in qualche modo ne verrò a capo.
Oggi ho da fare molte cose:
occorre sino in fondo uccidere la memoria,
occorre che l’anima impietrisca,
occorre imparare di nuovo a vivere.
Se no… Oltre la finestra
l’ardente fremito dell’estate, come una festa.
Da tempo lo presentivo:
un giorno radioso e la casa deserta.
Estate 1939. Casa della Fontanka.
Epilogo
1
Ho provato come si scavino i volti,
Come di sotto le palpebre occhieggi la paura,
Come di scrittura cuneiforme ruvide pagine
Tracci la sofferenza sulle guance,
Come le ciocche, da nere e color cenere,
Argentee si facciano di colpo,
Su rassegnate labbra il sorriso declini
E in un freddo ghigno tremi lo spavento.
E io non per me sola prego,
Ma per coloro tutti che stavano li’ con me,
E nel freddo atroce e nell’afa di luglio,
Sotto le rosse mura abbacinate.
2
Di nuovo del suffragio si e’ avvicinata l’ora.
Vi vedo, vi sento, vi percepisco:
E lei che a stento allo spioncino condussero,
E lei che non calca il suolo natio,
E lei che, scrollata la bella testa,
Disse: “Qui vengo come a casa!”
Vorrei tutte chiamarle per nome,
Ma l’elenco sottrassero e, dove saperli?
Per loro un ampio drappo ho intessuto
Di povere parole presso di loro orecchiate.
Loro ricordo sempre e in ogni dove,
Loro non dimentichero’ in una nuova sciagura neppure,
E se chiuderanno la mia bocca estenuata
Con cui un popolo di cento milioni grida,
Che ugualmente mi commemorino esse
Alla vigilia del mio funebre di’.
E se in questo paese un giorno
Di erigermi un monumento si proponessero,
A tale celebrazione acconsento, ma
A condizione solo che non lo innalzino
Ne’ presso il mare dove nacqui:
E’ spezzato col mare l’ultimo legame,
Ne’ presso il sospirato ceppo nel giardino dello zar,
Dove l’ombra inconsolabile mi cerca,
Ma qui, dove trecento ore sono stata
E dove il chiavistello non fu aperto per me.
Poiche’ nella beata morte appunto temo
Di dimenticare delle nere marusi il fragore,
Di dimenticare come la porta odiosa cigolasse
E una vecchia ululasse come bestia ferita.
E che dalle palpebre immobili di bronzo
Come lacrime, disgelata, scorra la neve,
E il colombo del carcere in lontananza tubi,
E pacifiche vadano per la Neva le navi.
“Requiem” di Anna Achmatova, scritto attorno agli anni ’35 – ’40, circola in forma manoscritta e acquisisce un’enorme popolarità sia nella Russia martoriata dalle purghe staliniane, che all’estero. Il poemetto rappresenta uno spietato atto di accusa contro la dittatura di Stalin, e testimonia il versante letterario di una lacerazione interiore comune a molti intellettuali russi di quegli anni.
Esprime l’angoscia della poetessa, provocata dall’arresto di suo figlio Lev Gumilev, avvenuto nel pieno delle persecuzioni staliniane, il 13 marzo 1938. Non era colpevole di nulla, Lev Gumilev, se non di essere figlio del poeta Nikolaj Gumilev, che era stato fucilato nel 1921come controrivoluzionario.. Lev Gumilev fu poi deportato nel nord, quindi, in seguito a sua domanda, arruolato come volontario al fronte. Al ritorno, fu di nuovo mandato a un campo di lavoro in Asia per finire di scontare la pena. Fu liberato solo nel 1949.
L’angoscia, la disperazione del futuro non si limita a questo sia pur profondo dolore individuale: si allarga, diventa pianto di tutto un popolo oppresso, un grido di speranza perchè crollino le mura delle carceri e cessino le persecuzioni compiute in nome di un ideale che era stato stravolto.akhmatova19241
Nel 1964 la poetessa riceve il permesso di lasciare la Russia per venir insignita, in Sicilia, del premio “Etna – Taormina”. L’anno seguente presso l’università di Oxford riceve la laurea honoris causa Le associazioni culturali russe la riabilitano come una dei massimi poeti sovietici del secolo; nel 1965 esce una nuova rccolta di poesie, “La corsa del tempo” che contiene fra l’altro le liriche degli ultimi anni e la prima parte del trittico “Poema senza eroe”.
L’ultima produzione di Anna comprende un centinaio di liriche, sparse in frammenti, e i cicli “La rosa di macchia fiorisce” e “Un serto ai morti”.
L’Ultimo brindisi della grande poetessa (ma lei amava farsi chiamare “poeta”) russa Anna Achmatova (1889-1966) risale al 1934 ed è dedicata al suo terzo marito Nikolaj Nikolaevic Punin a suggello di un rapporto finito.

La casa citata è la Fontanka, un ormai decrepito palazzo settecentesco dove viveva la scrittrice e dove più di un secolo prima era stata vissuta una storia di amore sofferto simile al suo. Ma la poesia va oltre l’occasione dell’ultimo saluto a una relazione ormai morta, diventa riflessione su tutta un’esistenza segnata da un dolore personale che si è incrociato con quello di un contesto storico ancora più tragico.
Bevo a una casa distrutta,

alla mia vita sciagurata,

a solitudini vissute in due

e bevo anche a te:

all’inganno di labbra che tradirono,

al morto gelo dei tuoi occhi,
ad un mondo crudele e rozzo,

ad un Dio che non ci ha salvato. (1934)

Anna Achmàtova muore di una crisi cardiaca a Domodedovo (Mosca), già sofferente di cuore, il 5 maggio 1966.achmatova
Boris Tishchenko ha composto il Requiem Opus 35 per soprano, tenore, e orchestra su versi di Anna Akhmatova nel 1966. Nato nel 1939 a Leningrado, Tishchenko è un compositore piuttosto eclettico, profondamente influenzato nella sua maturazione artistica dal modello di Shostakovich, fino ad approdare negli anni ’60 a nuove posizioni estetiche moderniste, avvicinandosi ad alcune tecniche compositive occidentali, come la dodecafonia.

2 risposte a "Anna Achmàtova, l’anima del popolo russo"

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  1. la storia di questa poetessa non ha avuto il potere di ispirare nessun regista, produttore, intellettuale,di destra o di sinistra.Forse la folla di donne sotto il gelo invernale o il calore rovente presso il muro del carcere di Kresty che attende per sapere la sorte dei propri cari(il pacco respinto è sinonimo di condanna eseguita)è qualcosa che la storia del comunismo non può ancora sostenere. Aspettiamo ancora anche la storia dei milioni e milioni di contadini uccisi con la carestia e il gulag.Recentemente è uscita qualche biografia che si occupa molto degli amori, veri o presunti di questa insigne poetessa . Ma di lei pochi sono i “Requiem” celebrati.

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